HoboTheMag presenta Black Box – a longboard story
HoboTheMag, il magazine di surf, downhill e skateboard, esce di nuovo su carta, pubblicando questa volta il libro fotografico di David Marsili. Il libro raccoglie i migliori scatti di David realizzati tra il 2008 e il 2018, periodo in cui David era impegnato a documentare la nascente scena downhill italiana.
Abbiamo chiesto direttamente a David di parlarci di Black Box e di cosa lo ha spinto a voler stampare un libro fotografico nell’era di Instagram e dei contenuti online. Dopo aver letto cosa ha da raccontarci non dimenticatevi di visitare questo link dove potrete supportare il crowd funding per la stampa del libro.
Ciao David, prima di tutto presentati ai nostri lettori
Ciao ragazzi, mi chiamo David Marsili, 38 anni fiorentino doc trapiantato a Pistoia da poco tempo. Il mio amore per la fotografia è nato 15 anni fa circa. Non avevo mai considerato la fotografia fino al 2005, prima di assistere ad uno shooting di inline skate (quando all’epoca pattinavo anche io!) e da lì è scoccata la scintilla. Ho iniziato a fare bodyboard nel ’94 e downhill dal 2008 e, essendo appassionato di reportage, ho sempre trovato abbastanza naturale portarmi dietro la macchina fotograficata per documentare tutto ciò che succedeva a me ed ai miei amici.
Come sta andando Hobo the Mag? Oltre ad Hobo collabori con altri magazine, sia cartacei che online?
No, non collaboro più con nessun magazine o sito online, è praticamente impossibile lavorarci e non mi piace come vengono “trattati” i fotografi, ma questo è un altro discorso… al momento sono concentrato solo su Hobo che direi sta andando molto bene. Il progetto è nato un po’ per colmare il gap sulla cultura surf che in Italia manca e fa piacere vedere che i surfisti di tutte le età non si interessano solo dell’ultimo video del brand del momento col surfista del momento ma apprezzano anche un po’ di storia. Pratichiamo e viviamo uno sport che si basa su una sua mitologia e mi sembra giusto conoscere le proprie radici.
Parlaci della tua nuova pubblicazione, Black Box. Come è nato questo progetto? Quanto ci è voluto per realizzarlo?
Una delle cose che mi ha sempre affascinato della fotografia è la possibilità di raccontare una storia per immagini ed è quello che ho voluto fare con Black Box. Di solito non esco mai di casa senza la mia macchina fotografica e, dopo qualche anno di materiale accumultato così per divertimento, ero giunto alla conclusione che sarebbe stato un peccato non documentare tutto questo, raccontare 10 anni circa di downhill skateboard in Italia secondo il mio punto di vista. Ho avuto la fortuna di praticare il downhill skateboard subito prima che scoppiasse il boom (correva l’anno 2008) ed è stato molto divertente ritrovarsi su una tavola a fare una cosa che ancora non era ben definita. Mi spiego meglio: lo skateboard ed il surf hanno alle spalle decenni di storia, modelli a cui ispirarsi, brand, etc etc. Ma nel downhill prima del 2008 c’era veramente poco: pochi brand, pochi shop, qualcosa che arrivava dall’America o dalla Germania in video ma non c’era un modello a cui rifarsi, ti trovavi lì su un tornante sperduto nel Chianti a cercare di intraversare la tavola e mai ti saresti immaginato che da lì a pochi anni ci sarebbe stato un boom di ragazzetti di 16 anni che scendono a 80 km/h in maglietta e pantaloncini in standup.
Con Black Box stai avendo riscontri anche all’estero? O è principalmente un progetto nazionale?
Il progetto è principalmente nazionale, ho mandato qualcosa in giro anche sui canali esteri ma non sono molto interessato.
Ti sembra che i più giovani capiscano il valore aggiunto di un libro o di un magazine stampato su carta? O per loro ormai c’è davvero solo Instagram?
Hai centrato il punto! Noi facciamo parte di una generazione che ha sviluppato un certo feticismo verso un oggetto materiale, che siano libri, fumetti, dischi, fotografie, etc e nella fotografia il processo di stampa è fondamentale. Penso che questo si sia un po’ perso e che le nuove generazioni dovrebbero essere “rieducate” su questa cosa. Certo, non condanno i social, anzi grazie a loro ho scoperto molti validi fotografi che non avrei mai avuto modo di conoscere ed inoltre è un ottimo mezzo per scambiarsi idee in tempo reale con gente che sta a km e km da te però è diventato tutto troppo veloce ed impalpabile. Secondo me è una buona tecnologia però usata male. Vedi una foto che ti piace e dopo 10 minuti non sai più dove ritrovarla, mentre la carta stampata resta ed ha tutto un altro gusto. Volendo generalizzare potrei dirti che tutta questa “velocità” unita ad una tecnologia sempre più spinta (mai ti saresti immaginato 10 anni fa di poter far foto in altissima risoluzione con un drone) ha portato gli utenti a concentrarsi di più sullo sbalordire il pubblico con “l’effetto” di una ultradefinizione o un preset su lightroom piuttosto che comunicando un contenuto. Se la gente lasciasse un pochino stare l’HD per sfogliare (e studiare) qualche libro penso che si avrebbero risultati migliori e, soprattutto, più durevoli nel tempo.
Raccontaci un’aneddoto della mission più matta che ti ricordi per realizzare uno scatto di Black Box.
Mah ne son successi così tanti che manco li ricordo più… Come quella volta che un tipo era convinto che stessi fotografando casa sua per rubargli il trattore quando invece stavo fotografando un tornante da lontano oppure quando beccai un tipo che per farci andare via ci sparava con un liquidator caricato con aceto e olio mentre scendevamo con la tavola.
Comunque una che ricordo con più affetto è stata quando sono salito sullo Stelvio con Fabiano Ferretti e Patrick Lombardi per uno shooting fotografico. Non dormii perché ero convinto che in pieno agosto non avrebbe fatto così freddo ed invece passai la notte in bianco in macchina a tremare come una foglia dentro un sacco a pelo estivo quando fuori c’erano zero gradi. Assistere all’alba su quelle montagne e le foto che ne sono uscite la mattina dopo non mi hanno fatto certo rimpiangere la nottata.
Progetti per il futuro?
Per quanto riguarda il downhill vorrei riuscire a fare un secondo capitolo per documentare le nuove leve e magari integrare vecchie crew che, per motivi logistici, non sono riuscito a mettere in questo libro.
Per quanto riguarda il surf, se il covid me lo permette, vorrei continuare a viaggiare on the road il più possibile tra Cantabria, Asturie e Galizia. Mi sono innamorato di quei luoghi e vorrei riuscire a tirar fuori un reportage tra surf, natura e cultura locale… Rigorosamente a pellicola però.
Ok è tutto, se devi ringraziare o salutare qualcuno questo è il momento! Lasciaci anche tutti i contatti per reperire Black Box.
Beh vorrei ringraziare tutti quelli che mi hanno supportato e sopportato in questo lavoro: i miei genitori, la mia ragazza Chiara, Dario Nincheri del collettivo che si è occupato dell’impaginazione e tutti i rider presenti e non nel libro che hanno reso possibile il tutto.
Questo è il sito per sostente il progetto:
https://www.produzionidalbasso.com/project/black-box-a-longboard-story-produzione-hobothemag/
Mentre questo è sito del collettivo HoboTheMag:
https://hobothemag.com